Caro Osvaldo, quarta parte

Questa è la quarta parte di Caro Osvaldo, un diario con la scusa della quarantena, dal 7 aprile ad oggi.

7 aprile 2020

Caro Osvaldo,

ho finito di leggere il romanzo della primavera (almeno: la mia). Si tratta di Oreo di Fran Ross, morta nel 1985. L’ha pubblicato Big Sur a marzo e l’ha tradotto Silvia Manzio. Nessuno batterà questo romanzo. Nessuno.

Prentesi.

Quanti libri mi perdo perché nessuno li traduce? Una valanga. Non li quantifico perché non leggendoli non lo so, ma so che sono una valanga. Sempre grazie ai traduttori.

Chiusa parentesi.

Oreo è un romanzo postmoderno, è un romanzo d’avventura e un romanzo di formazione tutto insieme, quindi capisci perché mi sono estasiata a ogni pagina, per ciascuno di questi tre motivi.

Non ci troverai niente di quello che hanno i romanzi americani di oggi, anche perché è stato pubblicato la prima volta dalla Northeastern University Press nel 1974 e ripreso di recente da New Directions.

Ci ri-racconta il mito di Teseo attraverso la protagonista Oreo, cioè Christine, che parte alla ricerca del padre e lo fa facendo ridere parecchio. Ha tono satirico, mi sono sbellicata – in copertina c’è una citazione di Paul Auster che dice che s’è sbellicato pure lui, quindi chi sono io per non sbellicarmi? – e mi sono sbellicata per lo stesso motivo per cui mi sbellicavo per i dialoghi di Woody Allen. Tieni sempre a mente che è stato scritto negli anni Settanta. Tutto torna.

Oreo va all’avventura, letteralmente, perché incontra personaggi di ogni genere e deve vedersela con quello che ha.

Fran Ross scrive a pagina 98: «Milton il lattaio salì i gradini davanti casa di Oreo e le disse: “Mi è giunta voce che stai per lasciarci per andare in cerca di tuo padre. Be’, in bocca al lupo. I viaggi sono strani. […]

Ora, prima che tu vada voglio spiegarti la mia teoria sul divorzio, basata sull’esperienza di un mio amico. Ora questo mio amico – che chiameremo Stan – e sua moglie – che chiameremo Alice . avevano un grosso problema. Lei preferiva farsi il bagno la sera prima di fare sesso, lui preferiva farsi la doccia la mattina dopo aver fatto sesso. Gira che ti rigira, uno dei due era sempre troppo pulito o troppo sporco per l’altro. Quindi non lo facevano quasi mai, e quindi hanno divorziato. Ora, la mia teoria p che si potrebbe ridurre il tasso di divorzi del novanta per cento se, prima del matrimonio, le coppie discutessero apertamente, uno, del momento della giornata in cui preferirebbero fare sesso e, due, del momento della giornata in cui preferiscono lavarsi. […]”»

10 aprile 2020

Carto Osvaldo,

dovevamo arrivarci, doveva accadere. Oggi è Venerdì Santo. Se non fossimo in quarantena, a Casacalenda ci sarebbe la Processione di Gesù Morto, che è uno dei ricordi più orrorifici che io ho della mia infanzia, ma di quei ricordi orrorifici e catartici che non puoi non perpretare.

Paolo è un periodo che rifugge costantemente dai risvolti negativi delle storie ma parla di morte come una cosa naturale.

«Mamma, ma quando uno nasce, cresce, diventa bambino, poi adulto e poi vecchio come un nonno, dopo che succede?»
Da genitore hai, nel giro di due secondi, due alternative: o gli parli del Paradiso o gli parli della morte.

«Dopo moriamo, Paolo.»
«Ma tutti?»
«Tutti.»
«Ah.»

Di solito quando mio figlio finisce con “Ah.” poi rimugina, anche diversi giorni, e a tradimento, mentre mi parla del nuovo film che ha visto con i suoi amici topi, Il re ghepardo 6, dice:

«Mamma, ma se moriamo poi non ci siamo più?»
«Sì, esatto.»

Fine della questione.
Ne riparliamo fra un po’ di mesi.

La morte finzionale, invece, la sofferenza, la cattiveria di Scar o dei cani di Munz di Up non li sopporta. E quindi non vuole ancora vedere Il re leone, anche se sa la storia a memoria, e preferisce sfogliare le figure di Up, anche se sa che Ellie è morta. Così mi dimostra che riesce a piegare le storie come vuole, nella sua testa, mentre le ascolta, ma non riesce a vederle senza esserne sopraffatto.

La storia di Gesù che muore sulla croce è stata la mia storia preferita per anni. Forse per un decennio abbondante e tutto quello che riguardava la processione che passava sotto al mio balcone, da cui vedevo in primo piano quella statua tagliata fra le costole con precisione, le signore vestite di nero, i canti addolorati, la Madonna nera, il buio tutto attorno e le luci su ogni balcone del paese, è stata sempre uno dei miei racconti preferiti, da cui fuggivo e ritornavo continuamente. Credo di averci scritto un romanzo attorno, a un certo punto.

11 aprile 2020

Caro Osvaldo,

da quando non ci sentiamo più è successa una cosa importante nelle nostre vite: sono tornate di moda le newsletter. Ti iscrivi, ti arrivano nella mail, alcune si pagano altre no.

Una di quelle che leggo ogni venerdì mattina alle 9 spaccate è quella di Ester Viola. Te ne parlo oggi anche se è sabato, fa niente.

È relativamente recente. Ester Viola non la conosco, ma vorrei molto. Ha questo stile di racconto sagace e umoristico insieme, sa usare la lingua e il melodramma con tanta intelligenza da mostrarmi spesso quel è il punto esatto in cui le due cose si fondono per diventare commedia brillante. Quelle che piacciono a me.

Nella newsletter di ieri accenna alla questione della panificazione. Hai presente, no? Anche Ester Viola vive a Milano, d’altronde, e poi seguendo il suo racconto della quarantena ha dato vita nel numero di ieri all’INPS: l’Ipocondriaco Nauseato e Pesantemente Stufo, che si trova attorniato da matti. I matti del Lysoform.

Scrive: «Ieri mattina, in una fila perbene di un quartiere perbene presso un fruttivendolo perbene, un nonnino senza mascherina ha vinto una gogna davanti ai miei occhi. Un barbaro in coda gli ha intimato queste parole «se lei parla sulle fragole, io le fragole non le compro», seguito da moralissimi «è una questione di buonsenso!» degli altri igienici sanificatori in coda. Il nonnino distava metri due virgola cinque dalle fragole con la mascherina calata, se l’è ritirata su e ha stretto le spalle mortificato. “Per favore una verza” ed è andato via con gli occhi lucidi.

Bastardi. L’INPS ha un appello per tutti questi innamorati del Lysoform. Quelli che devi parlare lontano dalle loro fragole.
Quelli che diluiscono un cucchiaio di candeggina per lavare l’insalata.
Quelli che tolgono l’involucro.
Quelli che fanno l’abluzione delle chiavi di casa.
Quelli che si lavano le mani davvero come se entrassero in sala operatoria.
Quelli che passano l’alcol sullo Yomo e insaponano il litro di latte.
Fatelo in gran segreto. Perché le persone intorno vi ricorderanno così: pazzi.»

Mi sembra il primo grande commento a come saremo.

13 aprile 2020

Caro Osvaldo,

oggi ho letto un articolo interessante riguardo agli effetti psicologici della COVID-19 sui medici, sugli infermieri e su chi, in generale, ci cura. Lo ha scritto Agnese Codignola, è uscito su Il Tascabile lo scorso 8 aprile. Si intitola: La salute di chi ci cura. Le conseguenze psicologiche dell’emergenza COVID-19 sul personale sanitario.

Dice: «Un terremoto sotterraneo che è previsto, atteso e conosciuto nelle sue forme fondamentali. I medici, gli infermieri e tutti coloro che sono in prima linea stanno vivendo una sorta di concentrato di tutto ciò normalmente li espone al rischio di sviluppare, nei mesi e anni seguenti, gli effetti tossici di un carico emotivo eccessivo, ma che di solito affrontano diluito negli anni, riuscendo, nella maggior parte dei casi, a contrastarlo.

Lavorano troppo, in condizioni difficilissime, affrontando scelte drammatiche, fronteggiando un dolore soverchiante, a volte si ammalano, o vedono i colleghi ammalarsi, e contemporaneamente non hanno la possibilità di decomprimere lo stress che accumulano, di avere spazi per la propria vita personale. Tutto ciò è di un’intensità eccezionale, e potrebbe farli esplodere. Se non si affronta anche questo aspetto con grande attenzione, ripetono gli esperti, in futuro si dovranno fare i conti con un’intera generazione di medici e infermieri che si saranno trasformati in pazienti.»

L’articolo prosegue con una intervista a Vittorio Lingiardi, medico psichiatra, psicoanalista e ordinario di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma, che nel 2018 è uscito con una vela Einaudi dal titolo Diagnosi e destino che ho capito perfino io. È una lettura affascinante che ne apre molte altre, soprattutto secondo me sulla questione del rapporto con la diagnosi. Cosa succede quando ci dicono che stiamo male e quando ci dicono cosa abbiamo.

Sempre sul Tascabile, sempre riguardo al mondo dei medici e di chi ci sta curando l’11 aprile è uscito un altro pezzo, dal titolo Avere poco poco fiato, di Sofia Frigerio, che è più una testimonianza di chi sta curando i malati nelle case di riposo.

Scrive: «I pazienti non possono uscire dalle loro camere, tranne quelli del primo piano che possono ancora pranzare nella sala comune. Si è deciso così da quando ci sono stati i primi casi di febbre, verso la metà di marzo. Già a fine febbraio le attività ricreative erano state sospese e i parenti non potevano più accedere alla struttura.

Spesso al mattino ne incontro qualcuno, spaurito, fuori dalla porta d’ingresso, con in mano una borsa piena di biancheria pulita: aspettano di passarla al braccio della segretaria che si sporgerà per prenderla dalla porta a vetri. Altre volte il passaggio avviene nel verso opposto ed è quando vengono i parenti a ritirare la borsa con gli effetti personali del defunto.»

Sono i giorni degli scandali nelle RSA, Osvaldo, una questione che qua in Lombardia ci riguarda da vicino e che sta aprendo scenari di inciviltà e crudeltà orribili.

14 aprile 2020

Caro Osvaldo,

i miei vicini del palazzo accanto hanno una passione per la musica italiana. Nello specifico: Amanda Lear, Righeira, Gelato al cioccolato, Umberto Tozzi e Occhi di gatto. E finché parte Tomorrow, io ci sto, L’estate sta finendo può essere un modo come un altro per esorcizzare la situazione, Umberto Tozzi non so, ma oggettivamente c’è a chi piace – persone con un senno – e Occhi di gatto la so tutta.

Oggi è andata in loop una Romina Power non d’annata, una cosa di cui non capisco nemmeno il bisogno, oltre che tutto il resto e così mi sono sentita in dovere di rispondere a tono: con T’appartengo. E così hanno messo Happy di Pharrell Williams.

Forse sono gli interisti: ormai nessuno litiga più con nessuno dopo l’ultima partita a porte chiuse che abbiamo giocato e anche per quella, per il fatto che era già iniziato tutto, non ci siamo presi in giro nemmeno un poco. Potrebbero essere loro. Chissà.

Paolo adesso vuole ascoltare Amanda Lear.

17 aprile 2020

Caro Osvaldo,

oggi la Protezione Civile ha detto che non faranno più conferenze stampa quotidiane: non servono più. Le terapie intensive non sono più sotto stress, siamo nel plateau, adesso pian piano diminuiamo i morti, i malati, i contagiati. I feriti chissà. Tornano lunedì prossimo e poi giovedì, sempre alle sei di sera.

E questa è l’unica cosa da appuntare.


Doveva esserci una quinta parte, ma poi è arrivato il 4 maggio.